martedì 20 novembre 2007

Guida alla sopravvivenza. Imparare ad essere autosufficienti. Di Guido Dalla Casa

Non occorre una gran fantasia per rendersi conto che la civiltà industriale odierna, che vive sulla crescita e si basa su non-cicli, è un fenomeno impossibile sulla Terra.
La Natura si basa su cicli, questa civiltà si basa invece su “risorse” che si consumano e “rifiuti” che si accumulano; quindi non può durare a lungo. Dato il modo esponenziale con cui avanza e il suo grado di invasione del Pianeta, si può prevedere ormai prossimo l’inizio di quei fenomeni traumatici che ne segneranno la fine.
Le probabilità che il modello si modifichi gradualmente fino a raggiungere condizioni stabili, cioè fino ad ottenere una situazione stazionaria (che in economia viene chiamata crescita-zero) e a funzionare solo su cicli chiusi, sono molto scarse. L’avvicinamento esponenziale di questa civiltà ai limiti globali del sistema è ormai rapidissimo.
Sono passati più di dieci anni dall’ammonimento di U Thant alle Nazioni Unite (1) e dalla pubblicazione de I limiti dello sviluppo ma non si è fatto nulla per arrestare il processo: tutte le forze politiche continuano ad inneggiare allo “sviluppo” e la situazione si è ulteriormente aggravata.
Le proiezioni in avanti di una trentina d’anni di molti fenomeni oggi in corso danno risultati chiaramente paradossali; i consumi energetici che si dovrebbero avere sulla Terra sono palesemente incompatibili con le “risorse” ancora a disposizione, ma soprattutto con il funzionamento stesso del Pianeta.
C’è chi pensa che “c’è ancora molto petrolio sotto gli Oceani”. Se si trovasse ancora molto petrolio, sarebbe la peggiore delle sciagure. Già oggi muoiono centinaia di migliaia di esseri viventi a causa di questo liquido. Ogni tanto minuscoli trafiletti sui giornali danno notizia che centomila uccelli sono morti nel Mare del Nord per chiazze oleose vaganti. Non parliamo poi dei pesci, vengono uccisi in gran numero a causa del petrolio.
Eventuali nuovi ritrovamenti non farebbero che ritardare di poco il collasso, aggravando però di molto la situazione.
E’ la Vita che si distrugge. La civiltà industriale sta distruggendo la vita, come un male avanzante nel corpo cui appartiene. C’è da sperare che non si trovi più petrolio. Altrimenti sarebbe peggio. Non parliamo poi dei guai che si creano nell’atmosfera per la combustione di queste enormi quantità di combustibili fossili: le piogge acide sono in aumento ovunque. Anidride carbonica, ossidi di azoto e di zolfo vengono immessi nell’aria in quantità impressionanti. Tanti sono i fenomeni di questo tipo su scala mondiale: si è fatto solo qualche esempio.
Se il modello di oggi, che chiameremo civiltà industriale sempre-crescente, dovesse continuare, si avrebbero conseguenze disastrose: immense foreste scomparse, interi mari privi di vita, megalopoli mostruose, malattie mentali e criminalità ovunque.
Ci sono quindi molti motivi per ritenere che questi fenomeni si interromperanno prima, e questo può significare solo la fine traumatica di questa civiltà. E’ assai difficile immaginare cosa significhi in pratica, come è molto difficile comprendere quando sarà “il momento”: i segni premonitori ci sono già oggi, ma ne dovrebbero venire altri, più chiari. Anche se quasi nessuno li interpreterà in questo senso, perché nessun modello culturale umano è capace di concepire la propria fine. Si darà la colpa alle destre, alle sinistre, al capitale o al sindacato, agli imperialisti o agli egualitari, ai conservatori o ai progressisti, ma ben pochi percepiranno la sostanza del fenomeno, la fine di un modello di vita, quello industriale nato due secoli fa. Non si può interpretare questo collasso con motivazioni economiche, perché è la fine del concetto stesso di economia.
Tutto questo sembrerà a molti la fine del mondo: ma, per quanto si tratti di una cosa drammatica, sarà solo la fine di una forma di pensiero, dell’idea-guida che lo scopo dell’umanità sia l’incremento indefinito dei beni materiali, cioè l’idea-guida della civiltà industriale. Cosa intende infatti questo modello come “miglioramento”? L’aumento dell’avere, del reddito, degli oggetti.
A consolazione per questa prossima fine, che sarà traumatica per quasi tutti, salvo gli abitatori di qualche superstite foresta, ricordiamo che si accompagna a questa “crescita” anche l’aumento della criminalità, del consumo di farmaci di ogni tipo, delle malattie mentali.
Inoltre, facciamo un’altra considerazione: la catastrofe della nostra civiltà è l’unica speranza di sopravvivenza per molte altre culture umane, gli Indios dell’Amazzonia, i Papua della Nuova Guinea, le ultime tribù africane, oceaniane, asiatiche. Se il processo continua, non hanno alcuna speranza di sopravvivere: sarebbero distrutte e fagocitate, i loro componenti dovrebbero scegliere fra restare abbrutiti dagli alcolici o trascinare miseramente la propria esistenza come “sottoproletari” ai margini di quell’altra civiltà. La catastrofe di questo sistema è anche l’unica speranza di sopravvivenza per moltissime specie di esseri viventi, animali e vegetali. Quindi è una disgrazia solo per noi.
Ma torniamo ai fatti. Siamo tutti imbevuti, condizionati dal modo di vivere della civiltà industriale, e moltissimi non potranno sopportare nemmeno l’idea di vivere in un altro modello, non riescono neppure a concepirne la possibilità di esistenza. Ma c’è anche chi vuole comunque sopravvivere.
Negli Stati Uniti c’è stata una fioritura di associazioni e movimenti, ma soprattutto vendite di oggetti che riguardano la sopravvivenza. Quindi, grossi affari per qualcuno, secondo il classico stile di quella gente. Questi gruppi di persone vengono chiamati “survivalisti” (dall’inglese survival=sopravvivenza).
Di solito si preparano a maneggiare armi, ammassare provviste e scatolette in bunker, rifugi antiatomici, cantine. Al massimo si chiudono nelle loro palizzate, per difendere “la loro proprietà”. In complesso si tratta di prospettive molto squallide: viene da chiedersi se vale la pena di vivere come topi da fogna, pronti ad uccidere per non essere uccisi, tenendosi magari addosso la paura di morire di leucemia per le radiazioni, se si esce. Ma questo è il loro stile; e pensano di “ricominciare” come i pionieri, come i loro nonni.
Non è partendo dalle armi, dalla violenza o dai bunker che si può salvare una vita decente; inoltre l’idea di “ricominciare” è semplicemente una follia, perché vorrebbe dire riprodurre le condizioni che hanno causato il collasso.
In questo manuale si farà un’ipotesi diversa, basata su una sopravvivenza fisica iniziale, ma con la speranza di rinascere anche spiritualmente verso una forma di pensiero e di civiltà che abbia fondamenti filosofici diversi da quelli che sono stati alla base del modello fallito.
Qualunque comunità, qualunque modello culturale deve basarsi sull’equilibrio, sulla consapevolezza di far parte in tutto e per tutto di un’Entità più vasta, che chiameremo la Natura.
Lo scopo di questo manuale è di fornire una traccia, una debole guida verso quella che può essere una sopravvivenza fisica, psicologica e culturale; soprattutto una speranza di riuscire a sopravvivere al periodo di transizione, al periodo traumatico del collasso, e di fornire qualche indicazione per raggiungere una condizione più stabile e più serena. Per questo bisogna prepararsi, anche se le difficoltà di prevedere l’epoca e le modalità del cambio di modello rendono estremamente difficile intraprendere a tempo giusto azioni concrete.
Bisogna comunque essere pronti a cavarsela anche nei primi tempi, quando il supporto della cosiddetta “civiltà” – che è poi soltanto una civiltà fra le tante – i rifornimenti e la facilità di trasporti verranno a cessare, quando è molto probabile che lo sbandamento generale provochi la formazione di numerose bande di delinquenza spicciola vagante, quando bisognerà scegliere se entrare in competizione su questo piano, o ritirarsi in località meno turbolente, ma molto meno “comode”. Bisognerà riuscire a cavarsela con poco a disposizione, senza possibilità di comprare roba nei negozi, o rivolgersi ad altri per ogni occorrenza.
Bisognerà re-imparare rapidamente a vivere anche senza il panettiere, il lattaio, il negozio di vestiti. Trarre dal resto della Natura, ma in armonia con Essa, il necessario per vivere, e anche essere sufficientemente sereni.
Per rendere più variata l’esposizione, a volte ci si rivolgerà ai lettori come se si trovassero al tempo presente, altre volte come se stessero leggendo il manuale già in condizioni di sopravvivenza, dopo il cambio di modello culturale.
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(1)“Non vorrei sembrare troppo catastrofico, ma dalle informazioni di cui posso disporre come Segretario Generale si trae una sola conclusione: i Paesi membri dell’ONU hanno a disposizione a malapena dieci anni per accantonare le proprie dispute ed impegnarsi in un programma globale di arresto della corsa agli armamenti, di risanamento dell’ambiente, di controllo dell’esplosione demografica, orientando i propri sforzi verso la problematica dello sviluppo. In caso contrario, c’è da temere che i problemi menzionati avranno raggiunto, entro il prossimo decennio, dimensioni tali da porli al di fuori di ogni nostra capacità di controllo” (U Thant, 1969)


1. - Dove andare
“Rilievo e clima isolano le montagne: le comunicazioni sono più rare, più faticose, più pericolose e più spesso interrotte. Questo isolamento ha però spesso i suoi lati buoni. Nei periodi di incertezza le montagne hanno offerto rifugi sicuri a coloro che osavano stabilirvisi. E’ in questo modo che esse hanno acquisito gran parte delle loro popolazioni. Persino nelle montagne attraversate da grandi strade, battute da predoni e soldati, rimanevano vallate appartate e poco accessibili, alti versanti facili da sorvegliare e da difendere.
Nell’interno di questi rifugi ha potuto rafforzarsi il gusto della libertà, maturare l’esperienza dell’autonomia.
Rifugio di popolazioni, conservatrice di idee e tradizioni, la montagna ricorda le isole. In ambedue i casi non si è mai trattato, salvo rare eccezioni, di isolamento totale; in ambedue i casi l’isolamento relativo tuttavia è stato dei più efficaci, persino sulle montagne e sulle isole più vicine alla pianura o al continente.”
(da La Montagna, Istituto Geografico De Agostini, Novara, 1962)

Facciamo un’ipotesi concreta sul prossimo futuro, una delle tante possibili.
In uno dei prossimi anni potrebbe succedere che:
Il prezzo del petrolio è aumentato ancora, gli Stati arabi del Medio Oriente sono in continua guerra fra loro, i governi cadono e cambiano. Lo stretto di Hormuz risulta infine chiuso per eventi bellici. Una superpotenza pensa di intervenire. In Europa c’è già il razionamento dei prodotti petroliferi. Ben pochi, soprattutto nelle città, sono in grado di passare l’inverno senza di essi. Le industrie sono costrette a ridimensionarsi o a fermarsi. Agitazioni, delinquenza, disoccupazione, prezzi altissimi peggiorano la situazione di mese in mese.
Nei deserti del Medio Oriente non c’è giorno senza guerra.
Nessuno vuole riconoscerlo, ma in realtà l’aumento continuo dei beni materiali, il cosiddetto sviluppo economico, è ormai alla fine.
L’inquinamento ha ridotto il Mediterraneo, il Mar del Giappone, il Mar Nero, il Baltico e gran parte dell’Atlantico a mari quasi privi di vita. Il pesce, ormai raro, ha prezzi altissimi. L’ideologia industriale è alle corde.
Finché una delle superpotenze, vedendo ormai prossimo il collasso, decide, come suo vecchio costume, di “estrarre per prima la pistola”.
Così un mattino ascoltate la notizia: New York e Mosca, Kiev e Detroit, Tokyo e Shanghai sono già un cumulo di rovine radioattive. Un fatto del genere è possibile anche per altre considerazioni: un modo con il quale l’Organismo Totale, cioè la Natura, può reagire all’attuale eccesso di popolazione umana con il minimo di distruzione per gli equilibri vitali è proprio quello di eliminare le grandi città, densissime di popolazione e di consumi e molto scarse di altre forme di vita.
L’Organismo reagisce eliminando i centri di concentrazione del suo male.
Quando una specie si moltiplica in modo abnorme arrecando danni di ogni genere all’Equilibrio Generale, la Natura, cioè la Mente Universale, fa nascere nei componenti di questa specie degli istinti suicidi. Il fenomeno si manifesta, ad esempio, nei lemmings e nelle locuste. Il modo in cui questi istinti suicidi possono manifestarsi in pratica nella specie umana è la guerra totale.
Ma ritorniamo alla nostra ipotesi:
Dopo la distruzione di alcune città, c’è una larva di mobilitazione generale, ma il buon senso di parecchi giovani fa sì che nelle caserme, invece di muoversi compatti verso un ipotetico “nemico della patria”, si senta vagamente che tutto questo non ha più senso e incominciano in pratica grossi ammutinamenti. I grandi sistemi di comunicazione e di rifornimento, i servizi, cominciano a collassare.
Nel giro di pochi giorni, o di poche ore, dovete decidere se affrontare questo mondo ormai in disordine, rischiando che l’atomica venga a far fuori anche qualche città italiana, o fuggire. Ma dove? E per quanto tempo?
I survivalisti americani si rintaneranno dentro i loro bunker, o dietro le loro palizzate, con le mitragliatrici e le scatolette, magari pensando a qualche vecchio film, ma tutto questo è soltanto squallido e folle.
E voi che farete? Molto dipenderà da dove vi trovate. Qualcuno penserà di raggiungere qualche località isolata, tagliata fuori o tagliabile da grosse vie di comunicazione, quindi sostanzialmente un ambiente non facile, secondo la mentalità di oggi, dove la gran parte delle persone non penserà di dirigersi perché di accesso difficile, o agevolmente isolabile.

In Italia, località simili possono trovarsi in montagna, sulle Alpi o sugli Appennini, o nelle isole minori. Pur facendo qualche accenno anche a soluzioni riguardanti le isole, ci si riferirà più in particolare alla fuga in località montane.
Sarebbe bene avere già un rifugio dove pensare di dirigersi, magari con qualche riparo, casa o capanna larvatamente abitabili.
Come località adatte si potrà scegliere:

- in località marina, qualche isola abbastanza piccola per non essere facilmente bersaglio di malintenzionati, e quindi così povera di “risorse” da non essere ambita per atti di pirateria, ma non troppo piccola e arida da non consentire alcuna forma di sopravvivenza a una comunità di almeno venti-venticinque persone.
E’ indispensabile che esista almeno una sorgente di acqua dolce o che le piogge vi siano sufficientemente frequenti da non rendere problematico l’approvvigionamento di una quantità minima di acqua. L’acqua è la base essenziale senza la quale non è possibile alcuna forma di sopravvivenza, anche se vi sono popolazioni che sono riuscite a vivere nel deserto del Sahara, in cui però avevano una perfetta conoscenza delle oasi e dei pochi pozzi.
Deve esserci un minimo di vegetazione, deve essere possibile allestire degli orti, il mare circostante deve essere sufficientemente pescoso. L’isoletta deve consentire l’allevamento di qualche animale, come capre, pecore, galline.

- in località montana, una conca, un alpeggio, una valle sufficientemente chiusa da tutti i lati, con un solo imbocco, agevole, e magari non troppo.
Se la zona non è nota, meglio ancora. Un segno che la località è abitabile in modo autonomo, è che sia stata abitata nel passato, o che lo sia ancora, magari da qualche anziano pastore, che però può diventare prezioso per consigli e per instaurare una reciproca collaborazione: chi arriva avrà bisogno di chi è sempre stato lassù. In questo caso inoltre ci sono già baite: anche se un po’ diroccate, si potranno rimettere in piedi.

Ricordatevi, per farvi forza, che un simile modo di vita autonomo è stato possibile per secoli sulle montagne, nelle campagne e sulle isole; è durato fino a non molti anni fa. Quindi, se avete impegno e siete forti spiritualmente, potete farcela anche voi.
Forse pensate che troppa gente vi salirà, e di tutti i tipi. Ma probabilmente non sarà così: chi è ormai visceralmente attaccato al suo mondo di oggetti e di simboli non salirà dove l’accesso è faticoso, quando le automobili non andranno più, e le funivie saranno fili inutili, buoni solo a deturpare la montagna. Preferiranno lottare a morte nelle pianure, nel vano tentativo di restare aggrappati alle “comodità”, per contendere agli altri con la violenza quel poco che sarà rimasto.

2. - Cosa portare con sé – Come cavarsela nei primi tempi
Premesse – Come costruire un rifugio – Il fuoco – L’acqua – Il cibo – La conservazione della carne – Come cucinare

3. - Principi di sopravvivenza indefinita

In un modello culturale umano è possibile sopravvivere a tempo indefinito solo se si tengono sempre presenti alcuni principi fondamentali, che discendono in sostanza dalla percezione completa e consapevole di essere parte di una Entità, di un Organismo più vasto, cioè della Natura. Siamo componenti di Qualcosa che ha leggi di funzionamento che non possono essere ignorate.
E’ la dimenticanza di questo fatto la causa del prossimo collasso dell’attuale modello culturale umano di derivazione europea.
Alcune filosofie orientali consideravano veri soltanto i processi che possono perpetuarsi senza limiti di tempo. Anche le comunità del futuro dovranno regolarsi in questo modo.
Vediamo qualcuno dei principi essenziali:

- Ogni territorio può sostenere come massimo un numero di persone determinato: se sono di più, non si può vivere in equilibrio, quindi la comunità non può durare. Le tensioni che ne segnerebbero la fine sono inevitabili. Per vedere quante persone possono vivere in un dato territorio si può, in prima approssimazione, contare quante capanne, o case, o baite, vi erano da secoli. Se il territorio era abitato lungo tutto l’arco dell’anno, si può avere un numero approssimato contando circa due o tre persone per casa preesistente. Se era abitato solo durante la stagione estiva, sarà bene ridurre il numero così ottenuto. In conclusione: la densità di popolazione umana in un dato territorio ha dei limiti massimi ben precisi.

- Non si può “buttare via” niente, perché ogni cosa è lì, e non scompare, se non rientra in un ciclo della Natura nelle giuste proporzioni.

- Ogni processo della comunità deve essere un ciclo chiuso che lascia inalterato l’ambiente, cioè il numero di specie viventi animali e vegetali deve restare circa costante. Le specie esistenti in natura in quel territorio erano le migliori per esso: devono mantenersi. Non si deve “prendere” qualcosa di fisso né riversare sostanze nell’ambiente, altrimenti le “risorse” di partenza si esauriranno e i “rifiuti” si accumuleranno, recando ben presto danni intollerabili.

- Non esistono specie “utili”, “nocive” e “innocue”, esiste solo l’equilibrio globale.

- Una forma di “crescita” materiale all’interno della comunità significherebbe la rottura di un equilibrio: si deve evitare.

- Tutto quello che si preleva deve essere utilizzato al massimo e restituito in qualche forma alla Terra. Non si può ingannare il ciclo complessivo della Vita: ogni “vittoria” è illusoria e apparente. Un aumento di qualcosa in qualche momento e in qualche punto, corrisponde a una degradazione in qualche altro punto, o tempo, o attività.

Il modo di funzionare della Natura, cioè per cicli, è l’unico modo in cui può esistere indefinitamente la Vita come complesso.
Non si possono scegliere o rifiutare questi principi, perché non si tratta di stabilire se questo sia bene o male, meglio o peggio, ma di constatare che solo così si può continuare a vivere su tempi lunghi.
Non mettetevi in testa una mentalità “da pionieri”: sarebbe la vostra fine. Il vostro angolo di mondo non è una cosa da conquistare, ma voi siete una parte di esso. Dovete convivere come una parte di un Insieme. Non c’è proprio niente da conquistare, né da modificare: l’ambiente naturale non può essere “migliorato”, potete solo integrarvi meglio in Esso. Non si può migliorare quello che ha impiegato quattro miliardi di anni per divenire ciò che è.
Non dovete temere troppo le “scomodità” anche se, dato che provenite da un modello che aveva eletto il “comfort” a una specie di religione, il passaggio psicologico sarà difficile. Pensate che nelle città dove era massimo il consumo degli oggetti apportatori del cosiddetto benessere, erano massime anche le nevrosi, l’angoscia, le malattie mentali e la delinquenza. Quindi non poteva trattarsi di un vero benessere. Dovrete invece essere sempre in situazione di atteggiamento mentale sereno. Questo è essenziale.
Non c’è bisogno di molto per essere sereni: un po’ di cibo e calore, e un po’ di cultura, ma nel senso più aperto del termine. Il difficile sarà cancellare i miti della civiltà precedente: l’esaltazione dell’ego, la crescita, lo sfruttamento.
Solo con una nuova metafisica potrete sopravvivere culturalmente, ma non è poi tanto nuova: è la metafisica animista-panteista di quasi tutte le culture umane, e tutte hanno vissuto millenni, fino all’arrivo della sopraffazione, fino all’arrivo del fanatismo accrescitivo di questi due secoli. Due secoli contro milioni di anni.
Ricordatevi di non fare contrapposizioni del tipo di quella umanità-natura o umanità-animali (purtroppo tanto comuni oggi): la specie umana è una specie animale, la specie umana è parte integrante della Natura. Si può essere lieti di questo, e ciò non significa affatto il materialismo, anzi significa un profondo senso religioso, il senso di un’appartenenza anche spirituale all’Unità Totale, all’Unica Mente.
Non prendete mai posizioni del tipo di “lotta contro le forze ostili della natura”, perché sono queste le posizioni che hanno causato la catastrofe del modello da cui provenite.

4. - Allenamento
“Staccarsi progressivamente dall’esistenza è l’insegnamento tradizionale dell’India, l’immersione frenetica nel vivere è l’inarrestabile malattia dell’Occidente. Abbiamo esportato dappertutto questo nostro miasma, eccitatore di violenza, spegnitore di sorriso.”
(Guido Ceronetti)

Ora torniamo al tempo presente. Questo breve capitolo è dedicato a qualcosa che potete cominciare a fare subito: un allenamento fisico-spirituale.
Siete qui, in mezzo a un mondo tecnologico e inquinato. Automobili corrono ovunque. Questa è la realtà di oggi. Che fare, per allenarvi, per essere pronti al cambiamento, senza soffrirne inutilmente? Non potete lasciare tutto, anche perché siete parte di quanto vi sta attorno.
Provate a fare qualcosa di diverso, o di normale, ma con atteggiamenti nuovi. Prendete un sacco in spalla e girate per le montagne: le Alpi si prestano bene. Non sarà necessario che saliate su particolari cime; se ne avete voglia, al momento potete anche salire. Da una valle all’altra, dormendo dove capita: rifugi, o baite, o fienili. Ricordate l’atteggiamento: non dovete competere con nessuno e con niente, né arrivare prima né dopo di alcunchè. Non avete alcun tempo da rispettare. Se piove o c’è la nebbia, godetevele: anch’esse hanno la loro magica bellezza. Anche la pioggia ha il suo bello, e le nuvole sono meravigliose.
Il tempo qualche volta è bello, e qualche volta no.
L’atteggiamento mentale deve essere di non-competizione, mai di conquista. Non dovete dimostrare niente a nessuno, neppure a voi stessi; non dovete competere né con il tempo, né con la montagna, né con niente altro. L’esperienza sarà rasserenante, di percezione della Totalità, sentendovi parte della Natura, in posizione di non-contrasto, di non-dualità. Il camminare lento e ritmico della salita concilierà questa integrazione. La respirazione profonda e il ritmo lento vi saranno amici. Non sarà necessario “raccontare”, né “dimostrare” niente. Non preoccupatevi della fatica: niente vi aspetta, niente ha fretta. Il corpo non si affaticherà, se in armonia con il profondo.
Potete sostare quando volete, parlare dell’Essere, o dell’ultima pianticella incontrata. Ma non strappatela, non raccogliete. Potete prendere un fungo, se poi lo mangiate quella sera; o fragole e mirtilli. Altrimenti lasciate stare la Manifestazione, anche voi siete Quella.
Potreste andare anche in pianura, ma in Europa questa possibilità è perduta. Sulle montagne potete ancora. Tenetevi lontani dal fondovalle invaso dalle auto; state lontani il più possibile anche dalle funivie. Potete anche pensare a nulla, o al Nulla. Fermatevi quando volete, dove volete. E’ un’esperienza non di alpinismo, ma soprattutto di integrazione nella Natura alpina.
Non dovete conquistare né dimostrare niente, neanche a voi stessi. Non c’è da lottare con la montagna: non ha senso. L’io deve attenuarsi, non esaltarsi. Solo contemplazione, ritmo, e percezione. Oppure Nulla.
Anche se siete materialista, sarà un’esperienza edificante: vi riposerà. Lasciate a casa l’automobile, scenderete ben lontano da dove siete partiti. Per recarvi alla partenza e per tornare dopo, usate il treno, o le corriere.
Poi vi disintossicherete dall’inquinamento: sulle montagne ci sono gli ultimi posti con aria e acqua pure. Oltretutto, essere abituati a camminare in montagna vi sarà utile, per quando torneranno le comunità alpine.
Meglio se siete in pochi, o un gruppetto, meglio se siete metà e metà, perché altrimenti, nel dialogo, vi mancherebbe l’altra metà del cielo.
Se non siete materialista, vi sentirete maggiormente parte della Mente Universale, della Natura, e questo contribuirà all’allentamento dell’ego. Assaporate il piacere della non-competizione. Se vi salta in mente di salire una cima, non è per conquistarla, ma per integrarvi con una natura di quota maggiore. O per niente, senza nessun altro scopo.
Potreste scoprire che, dopo avere magari provato a fare viaggi in treno, auto, aereo, pullman e nave, il mezzo più bello e completo per passare qualche settimana girando è viaggiare a piedi. E’ il mezzo meno pericoloso e più soddisfacente. Chi seguiva le carovane al passo dello yak o del cammello viveva anche durante il viaggio, senza preoccuparsi della “rapidità”. Cercate di dimenticare la velocità, questo valore così strano della nostra epoca e della nostra civiltà.
Potete fare anche altri tipi di allenamento: imparate a mungere, a fare il burro e il formaggio, a tagliare l’erba per ricavare il fieno. Siate dolci con gli altri animali: fra voi c’è uno scambio reciproco di favori, siete in simbiosi con essi.
Imparate a rispettare tutto il mondo vegetale: non ne potete fare a meno. E vi ricompenserà largamente.
Se vi è più congeniale il mare, passate qualche settimana su un’isoletta, con una barca a remi. Giratela a piedi, imparate a sopravvivere.

5. – Le erbe spontanee e i funghi.
Premesse – Foglie, germogli, licheni – Radici, rizomi, tuberi, bulbi – Fiori, nettare, polline - Frutti, bacche, noci, semi – Piante commestibili – I funghi.

6. – L’orto
Scelta della posizione – Impianto dell’orto – Attrezzi – Lavori di manutenzione – La semina – La costruzione del semenzaio – Il trapianto – La sarchiatura – Coltivazione degli ortaggi e loro consociazioni – Aglio – Asparago – Barbabietola – Bietola – Carciofo – Cardo – Carota – Cavolo – Cetriolo – Cipolla – Fagiolo – Fava – Finocchio – Fragola – Lattuga – Melanzana – Patata – Pisello – Pomodoro – Porro – Radicchio o cicoria – Ravanello – Rapa – Scorzonera – Sedano – Soia – Spinacio – Topinambour – Valeriana – Zucca – Zucchine – I metodi di conservazione.

7. – L’allevamento
Premesse – Mucche – Capre – Pecore – Conigli – Polli.

8. – Le api
Premesse – Metamorfosi – La regina – Le operaie – Il fuco – La vita delle api – L’arnia razionale – L’uso del foglio cereo – La famiglia – La visita alle famiglie – La cattura dello sciame – Il saccheggio – Il raccolto principale.

9. – La pesca. Cenni di autodifesa
La pesca – Cenni di autodifesa.

10. – Lavori di manutenzione
Muri e intonaci – Pavimenti – Porte e finestre – Isolamento termico e dall’umidità – Conclusioni.

11. - L’energia
Premesse – Energia solare – Irraggiamento e insolazione – Conversione in energia termica – Riscaldamento di acqua – Riscaldamento di ambienti – Accumulazione del calore – Minicentrali idroelettriche – Misura della portata – Misura del salto – Piccole dighe – Alternatori – Conclusioni.

12. – La piccola comunità
“E’ la storia di tutta la vita che è santa e buona da raccontare e di noi che la condividiamo con i quadrupedi e gli alati dell’aria e tutte le cose verdi: perché sono tutti figli di una stessa madre e il loro padre è un unico Spirito. Forse che il cielo non è un padre e la terra una madre, e non sono tutte le creature viventi con piedi, con ali e con radici i loro figli?”
(Alce Nero)

Si è parlato del cibo e del calore: cose essenziali per sopravvivere. Per il mangiare, ricordiamo qualcosa sull’alimentazione. Siamo mammiferi dell’ordine dei Primati, cioè scimmie: l’alimentazione più sana è la più simile a quella delle altre scimmie, con poche varianti. Un po’ di tutto, ma soprattutto radici, frutta, verdura, uova, latte, formaggio, burro; poca carne.
Importante poi stare al caldo d’inverno, con la minima fatica. Stabilite principi moralmente sani: niente furti o razzie, altrimenti riceverete altrettanto dalle altre comunità, e non vi salverete. Dopo i primi tempi, si potrà pensare anche a scambi, collegamenti fra le comunità, attraverso gli alti passi, a piedi o con i muli. Questi scambi ci sono stati per secoli: i mezzi di locomozione umani sono rimasti inalterati per migliaia di anni, fino a due o tre secoli fa. Sul mare le vele e i remi sono stati praticamente gli stessi per migliaia di anni, fino al 1700. Cavalli, muli, cammelli e yak erano gli stessi. Molti alti passi alpini erano più frequentati qualche secolo fa di oggi: c’erano più contatti fra le valli che collegamenti con le pianure, troppo pericolosi.
E’ importante che l’estensione e la natura del territorio siano tali da consentire la vita della comunità per un tempo indefinito, senza alterazioni. Il numero di persone deve essere compatibile con questo fatto essenziale.
Per avere un’idea di come si potrà vivere, diamo uno sguardo al passato, a cosa è successo sulle Alpi attraverso i secoli, a come e dove si siano formate le abitazioni, di che tipo e con quali esigenze.
I villaggi e le dimore stagionali dei pastori non sono costruite ovunque. Bisogna evitare i terreni minacciati dalle frane, la vicinanza di corsi d’acqua che possano gonfiarsi troppo allo scioglimento delle nevi, evitare i canaloni delle valanghe e tutti i luoghi dove le valanghe possono scendere.
Oltre ad essere protetta da queste minacce, la posizione deve essere tale da presentare vantaggi per la vita quotidiana: acqua sufficiente nei paraggi, vicinanza del bosco, per la protezione contro le frane e le valanghe, per essere riparati dai venti e per poter disporre di un po’ di legna.
La casa è inoltre situata in modo da rendere possibile l’utilizzazione del terreno: se il foraggio è lontano, meglio tenere fienili sul posto, portandovi eventualmente gli animali. A volte anche le abitazioni possono essere sistemate per soggiorni stagionali, per seguire il pascolo degli animali.
Nelle alte valli, dove a volte i corsi d’acqua scendono a gradini successivi separati da cascate o gole, in genere ogni gradino può essere occupato da un piccolo villaggio. Di solito il versante soleggiato, rivolto a Sud o ad Est, è coltivato e popolato, mentre il versante in ombra, volto a Nord o ad Ovest, è quello del bosco.
I versanti delle valli glaciali sono spesso troppo ripidi: sono favorevoli all’insediamento i contrafforti rocciosi che dominano le vallate, fra le gole tagliate dagli affluenti.
Nelle sedi di alpeggio le abitazioni sono molto semplici: la porta è bassa e si entra in un locale unico, dal pavimento in terra battuta, dove il focolare occupa un posto importante, di fronte alla porta. I mobili sono una tavola, degli sgabelli e una panca, alcuni ripiani per il vasellame e gli utensili in legno.
La stalla è spesso separata solo da una grossa trave orizzontale, e i pastori dormono in un soppalco sopra gli animali.
La coabitazione col bestiame risolve il problema del riscaldamento, ed un tempo era molto diffusa in montagna. Le dimore furono poi migliorate, separando la camera dalla cucina, dotata di una stufa a legna. Comunque l’uso di mantenere la stalla al piano inferiore dell’abitazione è continuato sempre ed è veramente utile per il riscaldamento.
Vi sono poi i ripari più semplici, che possono divenire utilissimi in condizioni di emergenza, e che sono sorprendentemente simili in tutte le località di montagna, sia sulle Alpi che sulle montagne dell’Asia Centrale. Negli alti pascoli di quasi tutte le Alpi, gruppi di capanne di legno o di pietra a secco servono da riparo a persone e animali: spesso hanno resistito centinaia di anni. Tendono poco a poco ad essere sostituite da una stalla allungata con al piano superiore o ad una estremità un’abitazione separata per i pastori.
L’agricoltura dei villaggi più elevati è piuttosto difficile per la brevità del periodo favorevole, per le basse temperature e per il rilievo accidentato.
Per vivere in condizioni di autosufficienza, ci si deve sforzare di praticare tutti i tipi di colture possibili, anche se le rese sono minori che in pianura. Comunque la coltura della patata è una buona assicurazione contro la fame. Ma è necessario ripristinare tante altre coltivazioni possibili, che sono scomparse dalla montagna solo per la facilità dei trasporti dalla pianura. Ma dovranno ritornare: si sono date alcune indicazioni nel capitolo sull’orto; molte di quelle coltivazioni sono possibili, a seconda delle diverse altitudini.
Si sono ottenuti raccolti di segale e grano anche in montagna, magari seminando in estate e raccogliendo solo l’anno seguente, cioè con un raccolto ogni due anni. In qualche caso, si spande della terra sulla neve che tarda a fondere e si semina lì sopra per anticipare la stagione. A volte si installano degli essiccatoi, isolati e coperti, dove i cereali finiscono di maturare. L’irrigazione con piccoli ma lunghi canaletti può riuscire assai utile. Qualche muro di pietra a secco può attenuare la pendenza e frenare l’erosione. La montagna è adatta soprattutto all’allevamento e alla pastorizia; tuttavia, per mantenere condizioni di autosufficienza e variabilità, è necessaria anche l’agricoltura tradizionale, cioè le coltivazioni.
Bisogna fare attenzione che il pascolo non sia troppo intensivo e non porti a una degradazione del terreno; se c’è questo pericolo, occorre provvedere ad un pascolo a rotazione, con riposo periodico del terreno durante i mesi di vegetazione.
Ricordiamo ancora la funzione essenziale del bosco; dove c’è il bosco la valanga non si scatena: solo eventi eccezionali possono superare la cintura protettiva della foresta alpina. Poi il bosco fissa il suolo. I meriti della foresta di montagna sono universalmente noti. Il bosco va amministrato con molto discernimento: gli eventuali tagli devono essere tali da lasciare inalterato il complesso boschivo.

13. – La sopravvivenza psicologica e culturale
“La principale caratteristica psicologica degli europei è la smisurata tendenza agli scatti di attività, sovente accompagnati da un regresso. Tutta la storia delle civiltà europidi è una storia di periodi brillanti e fortemente espansivi, accanto a periodi di netto regresso. Un’altra caratteristica un po’ negativa, è l’invadenza e l’intransigenza. Praticamente solo in Europa si ha il fenomeno di gente che si ritiene superiore ad ogni altra, che elabora sistemi di pensiero e di vita che sono gli ‘unici veri’ e gli ‘unici giusti’”. (Ugo Plez, La preistoria che vive)

Già si sono fatti diversi cenni sul fatto che non si deve pensare alla sopravvivenza come un breve periodo di abbrutimento in cui si pensa solo a mangiare e dormire. Nessuno dei cosiddetti “selvaggi” ha un simile comportamento. Anzi, la maggior parte del tempo di questi modelli culturali è dedicato all’aspetto “magico”, o spirituale, della vita. Non sgobbano affatto tutto il giorno per procurarsi il cibo, come ci raccontavano a scuola.
Solo l’immensa superbia della cultura europea ha fatto sì che si autoproclamasse l’unica “civiltà” e gli altri tutti minorati. Ma la vita spirituale di quelle comunità è sempre stata molto intensa.
Dovete cercare di salvare molti libri, e appena passati i primi periodi, organizzare dei corsi, delle specie di scuole in cui tutti si scambiano le idee e le esperienze, di pensiero e di conoscenze pratiche. Organizzate corsi permanenti, salvate quanti più libri potete, se possibile di diversi modelli culturali, anche quelli orientali e quelli che riportano il pensiero dei modelli animisti-panteisti, asiatici, amerindiani, oceaniani. Tenete presente quali sono stati i mali dell’Occidente, che l’hanno portato alla fine, quali i principi che non si possono ignorare.
Salvate il Vangelo, le Upanishad, i Sutra buddhisti, se riuscite qualche libro di Alan Watts, Il Signore degli Anelli di Tolkien, qualche testo di matematica, fisica e scienze naturali. Magari non dimenticate questo manuale, e altri analoghi.
Saranno preziosi gli scambi fra chi conosce e chi sa fare: tutti devono dedicarsi a entrambi gli aspetti. I pastori saranno preziosi quanto le persone cosiddette colte. Le scuole saranno per bambini e per adulti, permanenti; allievi e insegnanti potranno benissimo scambiarsi i ruoli.
Non dovete abbrutirvi a una pura sopravvivenza materiale, perché non reggerebbe e degenererebbe ben presto.
Attenzione a non perpetuare l’errore biblico, l’errore antropocentrico, che tanti guai ha provocato nel mondo. Non ci potranno mai essere atteggiamenti di “lotta contro le forze della natura”, perché ci si troverebbe come le cellule che lottano contro il corpo cui appartengono.
Si tenga sempre presente la Parità: la concezione globale comporta la sostanziale parità fra tutte le manifestazioni del Principio Vitale, fra tutti gli esseri viventi. Non ci possono essere lotte o contrasti fra le parti componenti un’Unica Realtà.
La parità fra i sessi deve essere evidente. Alternarsi in tutto deve essere una cosa spontanea e ovvia: a scuola, nel lavoro, nelle case, sempre alla pari, sempre alternati. Qualunque associazione, riunione, consiglio, di qualsiasi natura, deve contenere persone dei due sessi in numero circa uguale. Per evidenti motivi statistici: non c’è alcun motivo perché avvenga diversamente.
Così non si esclude nessuno da quella parità totale di partecipazione e di attività da cui tante culture hanno cercato di escludere il sesso femminile, relegando le donne in ruoli secondari. Anche i concetti di “secondario” e di “primario” devono sparire.
Non dimentichiamo poi la fine che sta per fare il mondo guidato praticamente solo dai maschi: una catastrofe, un fallimento. Almeno l’apporto decisionale determinante del sesso femminile forse poteva salvare la situazione. La donna è molto meno inquinata dalla manìa economicista-tecnicista propria della civiltà industriale, appunto perché è stata finora tenuta emarginata dal sistema.
Non si scambino per verità quelli che sono solo schemi mentali propri di un modello: i difensori di posizioni “tradizionali” sosterrebbero con lo stesso vigore le posizioni opposte se si fossero trovati in una società che le sosteneva. Unica soluzione equa è la parità totale, con turni di tutte le attività, sociali, casalinghe, decisionali, lavorative. L’impegno biologico femminile per motivi di gravidanza e allattamento, supponendo una vita media attiva di 40-50 anni e un numero di due figli, per evidenti motivi di mantenimento della condizione stazionaria, è circa del 5% del tempo totale, e quindi tranquillamente trascurabile.
I “compiti diversi” sono stati un pretesto di questo modello per tenere le donne in posizione subordinata. I vari compiti vanno eseguiti alla pari in tutto, semplicemente perché non c’è alcun motivo perché non lo sia. Alla vita della comunità devono partecipare tutti in ugual misura, così anche a tenere puliti e in ordine gli ambienti e a far da mangiare. Perfino la maggior parte delle specie di uccelli si alternano rigorosamente sul nido, nella cura dei piccoli e nel procacciare il cibo.
Se nella comunità non devono manifestarsi dualismo, competizione, litigio, non deve manifestarsi neppure il concetto di proprietà. Esso non è un “istinto” proprio della natura umana, tanto è vero che forse esistono lingue in cui non si possono esprimere i concetti di mio-tuo-suo e popoli che non sono in grado di comprenderne il significato (Boscimani e Ottentotti?). Naturalmente sono stati etichettati come “estremamente primitivi”: sono comunque in grado di esprimere concetti di difficile comprensione per una mente europea, come quello di fare scarsa distinzione fra “sé stessi” e “l’ambiente naturale esterno”.
La migliore soluzione al problema della proprietà è data ancora dalla risposta di Nuvola Rossa agli invasori europei che volevano “comprare” la parte migliore del territorio Lakota: “La terra è del Grande Spirito. Non si può vendere né comprare.” Naturalmente i bianchi se la presero con le armi.
Si può vivere benissimo senza i concetti di proprietà e di padrone. Come pure sarà bene lasciar perdere il concetto di specializzazione, e il concetto di chi serve e chi è servito. Sono tutti schemi mentali di questo modello.
Non deve esistere alcun “rango”. Nessun primato, nessuna gara: e si vivrà più tranquilli e sereni, senza la nevrosi del “successo”, la sopraffazione sugli altri, sull’ambiente, sulla Natura, come se fosse qualcosa di separato, da conquistare. Ma sapete che non lo è. E senza la manìa della “produzione”.
Che non si formi la distinzione, il dualismo fra “credenti” e “atei” perché non ha alcun significato, era solo un artificio della cultura occidentale, dove si era creata anche l’assurda mentalità della “religione vera” e delle “religioni false”.
Niente “titoli” né alcun altro simbolo o segno di distinzione o di élite: sarebbero l’inizio di una spirale senza speranza.
Niente “potere”: la ricerca del potere è solo la rabbiosa consolazione di chi non ha niente di meglio, cioè non ha la serenità d’animo. Chi aspira al potere e alla ricchezza, a “essere di più”, all’esaltazione dell’io, cerca in realtà un surrogato alla serenità che gli manca. Deve essere generale l’atteggiamento di rispetto e di non-violenza, anche verbale. (*)
Ricordatevi l’atteggiamento di non-competizione, non-litigio, non siete in competizione con la natura, ma siete una parte di Essa. Non dovete conquistare niente. E’ dalle idee di competizione e conquista che è venuta la catastrofe della civiltà da cui provenite. Si può vivere benissimo senza i concetti di più-di meno, superiore-inferiore, ecc.
Occorre avere sempre un atteggiamento di non-dualismo, non-contrasto, non-litigio. Non si devono riformare l’antagonismo e la competizione. Non deve ricomparire l’ambizione.
Ci si fermerà molto più spesso ad ammirare un fiore o un albero, a guardare la luna e le stelle, ad osservare il volo degli uccelli, a pensare. Intenti a ricercare il successo, impegnati per avere, per ottenere qualcosa, tesi nella competizione, ci eravamo dimenticati di vivere, ne avevamo perso completamente il gusto.
Per chi ce la farà, la catastrofe del sistema non sarà certamente il peggiore dei guai. Si potrà finalmente vivere con la meravigliosa sensazione di non dover essere al centro di niente, di fare parte della Natura e basta.
Quando arriverà la notizia che un’altra grande città è stata cancellata dalla faccia della Terra, o che è preda del disordine e della morte, pensate che è l’Organismo Totale che si difende, è la Natura che reagisce al suo male. Alcuni diranno che Dio punisce gli umani per i loro “peccati”, altri tireranno fuori tutti i motivi possibili, economici, politici e sociali. Ma ormai non poteva non succedere: in fondo dire che la Natura si difende, o Dio punisce, non fa una grande differenza, se non di linguaggio. La non-conformità alle leggi della Natura è stata la “colpa” da cui si è difesa, e quindi la cosiddetta “punizione”.
Se vi capitasse di sentirvi tristi per essere andati “così indietro”, rideteci sopra: i concetti di “civiltà”, “civilizzazione”, “progresso”, e simili, sono stati solo artifici del modello da cui provenite per autonominarsi superiore. Non esiste alcun modello “più civile”, esistono solo diversi modelli culturali umani da confrontare su un piano di parità. La vostra difficoltà è quella di dover vivere due modelli diversi nella stessa vita e dover cambiare modello culturale a metà dell’esistenza, ma non c’è alcun “regresso”. Il metro economico di valutazione è stato solo una sopraffazione del precedente modello per fagocitare e distruggere gli altri. Ma ora sta pagando il conto.
La quantità di oggetti, indice di valore della civiltà industriale, non ha mai fatto felice nessuno.
La parte di vita che vi resta nella comunità di sopravvissuti potrebbe essere molto più serena di quella da cui provenite, di quella delle città, che ora sta semplicemente rendendo conto di quanto ha fatto verso la Vita.
Quindi tranquillizzatevi, riprendete a lavorare serenamente, senza “sforzi”, senza “mete”, senza spasmodico fanatismo, finalmente senza preoccuparvi di essere di più, di dover fare aumentare qualcosa, sia esso il conto in banca o il prodotto nazionale lordo, né di dover superare o confrontarvi con altri, con fantomatici “concorrenti”.
Nessuno è mai scoppiato di felicità per essere importante, famoso, o per avere raggiunto il “successo”. Anzi ben pochi possono condurre una vita serena in queste condizioni. Non siete al centro proprio di niente, ma questo è motivo di lieta serenità, non di tormento. Siete un essere vivente che compone un Tutto insieme agli altri esseri viventi. Non va ripetuto l’errore biblico: niente è al vostro servizio e voi non siete al servizio di nulla.
La comunità non dovrà essere regolata da alcun particolare tabù, il che equivale a dire che sarà basata sul principio della parità totale, la Grande Parità. In sostanza, fra tutte le manifestazioni del Principio Vitale.
Le “civiltà” sono solo una serie di usi, costumi e schemi mentali che fa chiamare “primitivo” o “sottosviluppato” chi ha usi diversi.

(*) Questo sembrerà impossibile a molti lettori, ma è solo perché siamo terribilmente immersi nella mentalità dell’Occidente. Invece il nostro concetto di autorità non è indiscutibile. Si riportano, come esempio, alcuni brani tratti da un articolo di Walter B. Miller dal titolo Due concetti di autorità:
“Quando i mercanti europei di pellicce, i soldati ed i missionari cominciarono a trasferirsi circa nel 1650 verso l’interno della regione dei Grandi Laghi trovarono un gruppo di tribù algonchiniane del centro…questi stessi Europei furono colpiti da ciò che parve loro essere un fenomeno quanto mai rimarchevole. Gli Algonchini del centro sembravano compiere le loro attività di sussistenza, religiose, amministrative e militari in virtuale assenza di qualsiasi forma di autorità…uno dei primi europei che ebbero contatto con le tribù centrali fu Nicholas Pierrot, un mercante di pellicce francese e coureur de bois. Egli registrò queste impressioni circa nel 1680: la subordinazione non è la regola di condotta tra questi selvaggi; il selvaggio non sa che cosa vuol dire ubbidire…è più producente pregarlo che comandarlo…il padre non si azzarda ad esercitare l’autorità su suo figlio, né il capo osa dare ordini ai suoi soldati…se qualcuno si impunta su qualche movimento proposto, è necessario convincerlo per dissuaderlo, altrimenti manterrà il suo stato di opposizione…”.
Si ricorda che la parola “selvaggi” è usata solo per riportare esattamente la nota di tre secoli fa. E’ evidente che non esistono “selvaggi” e che la civiltà occidentale non ha alcun motivo di superiorità nei confronti degli indiani d’America, o di nessun altro modello, se non la forza bruta delle armi.

14. - Conclusioni
“La visione ideologica che ci fa credere unici e diversi cioè inconfondibili e migliori di tutti gli altri esseri viventi sul pianeta, è solo un curioso delirio di grandezza” (Fabio Ceccarelli)

“Forse bisogna cercare nella natura, attorno a noi, la spiegazione del destino dell’Occidente e anche i presagi per il nostro avvenire.
I lemmings sono piccoli roditori del Nord-Europa e dell’Asia simili ai nostri topi campagnoli. In determinati periodi essi abbandonano le Alpi della Scandinavia in gruppi numerosi, come guidati da un misterioso suonatore di flauto, e si dirigono verso il Mare del Nord o il Golfo di Botnia. Lungo questo tragitto, che è il loro senso della storia, essi subiscono gli attacchi dei carnivori o degli uccelli predatori che li distruggono a migliaia. Malgrado tutto, essi proseguono la loro strada e, raggiunta la meta, si gettano nel mare e vi annegano.
Le cavallette hanno anch’esse un simile senso della storia. Molte specie, tra cui la Locusta migratoria, vivono nella natura senza commettere danni: gli individui sono solitari e sparsi. A un determinato momento, per una ragione ancora sconosciuta, queste specie pullulano; le giovani cavallette che nascono e crescono in popolazioni fitte hanno colore e forma diverse: sono più grandi e di colore più chiaro, spesso di un bel verde.
I naturalisti ne hanno fatto una specie diversa: la Locusta gregaria. Esse si riuniscono in gruppi numerosi e, quando sono adulte, se ne volano tutte assieme, costituendo quelle nuvole di cavallette che i contadini del Mediterraneo temono moltissimo: esse avanzano a balzi enormi, nella stessa direzione inesorabile per molti giorni. Possono devastare ogni vegetazione in poche ore, o abbattersi su una steppa per marcirvi in mucchi al sole oppure precipitarsi a nugoli nel mare.
Che cosa potrebbero dire i lemmings se potessero scrivere la storia di una delle loro migrazioni? “Siamo in marcia verso un felice domani, la nostra nazione fortemente strutturata cresce di ora in ora, e nonostante vari attacchi, progrediamo nella stessa direzione, conservando la nostra organizzazione che, sola, permette all’individuo di marciare verso quel progresso che intravediamo già, tutto azzurro, ai piedi delle montagne”.
Le cavallette intonerebbero un canto di trionfo: “Noi procediamo in avanti. L’universo potrà nutrirci per un secolo, poichè siamo in via verso la ‘planetizzazione’ della nostra specie”.
La storia ha un senso per le cavallette, per i lemmings e per la civiltà occidentale: essa sfocia in un suicidio collettivo, prima della ‘planetizzazione’ di una specie. Ogni individuo vede però in questo slancio ultimo una marcia verso una situazione migliore. Più i lemmings si allontanano dal punto di partenza, dicono i naturalisti, più sono eccitati; nulla li può fermare: davanti a un ostacolo sibilano e digrignano i denti per la collera.
Anche noi, ben lontani ormai dalle nostre origini, sentiamo profondamente che nulla deve intralciare la nostra marcia verso ciò che chiamiamo il Progresso.”

Queste righe sono riportate integralmente da un libro del noto antropologo francese Servier (Jean Servier, L’uomo e l’Invisibile, Ed. Rusconi, 1973- il testo in francese è del 1967).
Ma non tutti i lemmings finiscono in fondo al fiordo: alcuni restano in testa alla valle, altri, che sono ai margini della migrazione folle, ne escono in tempo e si acquattano salvandosi la pelle. Anche delle locuste, molte sopravvivono.
Abbiamo altri esempi di studiosi che hanno ben compreso quanta superbia sia insita nella cultura occidentale, fra cui Claude Levy-Strauss, accademico di Francia, e Marcel Griaule.
Ma nessuno dà ascolto a questi antropologi o ad altri rari scienziati, che sono spesso considerati studiosi da lasciare in pace, “specialisti” che non devono avere influenza sul pensiero corrente. Solo i tecnocrati e gli economisti si considerano i portavoce della verità.
Così la civiltà industriale va allegramente verso il suo destino.
Cambiare totalmente modello culturale a metà della vita non è facile. Anzi, è difficilissimo. Troppi sono i condizionamenti cui siamo stati sottoposti: il mito del progresso, del benessere, degli oggetti, della competizione. Soprattutto lo squallido, ma continuo e inesorabile invito ai consumi che ci ha perseguitato. Tanto da credere molte idee come ovvie, come “bisogni naturali della specie umana”. Ma non lo sono. L’umanità è vissuta tre milioni di anni senza questi miti, questi tabù. Si tratta solo di schemi mentali, non di tendenze ovvie e inarrestabili. Il concetto di “tenore di vita” serve solo a far lavorare le fabbriche.
Liberiamoci dalla terribile barriera del condizionamento. Solo così potremo avere qualche speranza di sopravvivere, senza dover necessariamente entrare in una competizione di violenza e di morte. L’impero dei consumi ha gli anni contati: è ormai vicino ai limiti naturali della Terra.
Bisogna liberarsene, che lo vogliamo oppure no. Torniamo dove avremmo dovuto sempre restare, nell’abbraccio della Natura: e tenteremo di sopravvivere. La sopravvivenza psicologica, la percezione di queste realtà, dei motivi per cui la civiltà industriale sempre-crescente va verso il suo immancabile destino è necessaria quanto la capacità di cavarsela procurandosi cibo e calore.
E non possiamo vivere senza una metafisica, una convinzione globale. Per questo si è accennato, oltre che a una sopravvivenza fatta di cibo e calore, anche a qualcosa che ci tenga in vita spiritualmente. Ma non devono sorgere “padroni spirituali” o organizzazioni similari, o depositari della verità. Non servono fanatici, ognuno può avere la sua metafisica; oppure no, ma senza costrizioni, o violenze psicologiche, o imposizioni occulte, o minacce di “punizioni” in questa o in un’altra vita.
Il cerchio si chiude, l’antica simbologia della Ruota ritorna. L’umanità, dopo avere constatato a caro prezzo l’impossibilità di sopraffare il resto del mondo, dovrà tornare a vivere nella Natura. Una specie animale, senza poter più chiamare “primitivo” alcun modo di vivere. Sarà un equilibrio non automatico, ma consapevole. L’umanità deve tornare a vivere per quello che è, cioè Natura. Ora è staccata, perduta, angosciata, perché nella posizione opposta.
Facciamo parte, assieme a tutti gli altri esseri viventi, di un’Unica Entità, di cui la Natura è la Manifestazione. La via verso la serenità è la consapevolezza di questo, cioè la progressiva attenuazione dell’ego, individuale e collettivo: la fine dello stato di “egoità”.

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Forse avete comprato questo libro pensando di trovarvi notizie utili a sopravvivere dopo un naufragio o un incidente aereo, fino all’arrivo dei “soccorsi”. Sarete rimasti sorpresi o delusi, o forse piacevolmente meravigliati. Da quella che avete finora chiamato “civiltà” non potrà arrivarvi alcun soccorso: quando sarà accaduto l’inevitabile, dai resti sbandati di quella che era stata la civiltà industriale potranno venirvi solo violenza o morte.
Ma si è voluto ricordare che non ci sono soltanto la violenza e le armi, come consigliano i “survivalisti” USA secondo il loro classico stile, ma che si potrà sopravvivere anche in clima di accettazione e di non-violenza. L’umanità potrà vivere in molti modi diversi, purché il suo stato sia l’Equilibrio, la sua guida sia la Natura ed il suo scopo la Conoscenza. Occorre però saper affrontare il periodo di transizione, il periodo dello sfascio. E non sarà facile. Spero che questo manuale vi abbia fatto intravedere questa possibilità.

(Guido Dalla Casa, anno 1982)

tratto da:
Guido Dalla Casa, GUIDA ALLA SOPRAVVIVENZA
Imparare ad essere autosufficienti alle soglie del crollo della civiltà tecnologica
Ed. MEB - 175 pagine-24 ill.
ISBN 88-7669-133-2
(Ediz. 1983, 1986,1988,1989,1996)
Continua...

lunedì 29 ottobre 2007

"L’armonia terrestre nostra vocazione" di Jacques Ellul


Dio creò un giardino che si chiamava Eden per porvi l’uomo. Al centro di tutta la creazione, in mezzo agli astri e al cosmo, crea un Eden, che è un giardino, e il cui nome significa voluttà, delizie, piacere. Terra, nostro Eden, nostro piacere, e tutto infatti vi era concepito per il piacere dell’uomo. Tutto vi era buono, bello, armonioso e puro, compresa la voluttà. Poi, lo strappo. Ma questa terra, questo luogo unico fatto per lui, è destinato a questa corrispondenza e a questa gioia. Se non lo è più, bisogna che lo ridiventi.


La terra, nostra sola patria

Perché questa terra, fragile e straziata, nostro solo luogo, è la nostra sola patria. Bisogna, qui, protestare energicamente contro l’assurda pretesa dell’uomo di colonizzare la “galassia” e di insediare colonie sugli altri pianeti o piazzare delle stazioni orbitanti nell’universo. I romanzi avveniristici ci mostrano spesso queste colonie di esseri umani emergenti da un altro pianeta per fuggire da una terra divenuta inabitabile. E io dico no. No, perché si tratta di “colonizzare” lo spazio. Non avete ancora capito cosa vuol dire “colonizzare”? Non avete ancora capito, dopo la colonizzazione dei paesi africani del nord da parte dell’islam e quella del resto dell’Africa da parte dell’Europa? E la colonizzazione degli indiani ad opera del melting-pot americano! E la colonizzazione dell’America del Sud da parte degli spagnoli e degli inglesi? Non avete ancora capito che ogni colonizzazione causa un duplice disastro, quello del colonizzato e quello del colonizzatore? Non sono niente queste esperienze, quando non c’è stata una sola colonizzazione felice? E volete colonizzare lo spazio, ma cosa installerete in questo spazio? In realtà, e innanzitutto, un fenomenale macchinario bellico. Ecco il senso delle fabbriche nello spazio e dei satelliti delle comunicazioni. Tutto vi è votato alla guerra.
Ritornate, dunque, sulla terra e lavorate per rendere questa terra umana e vivibile. Perché questa è la nostra via d’uscita. La terra è il nostro solo luogo. Ritrovate la gioia della terra. Invece di odiarla a causa delle sue catastrofi e di distruggerla con lo sfruttamento dell’industria agricola, delle risorse minerarie degli idrocarburi, invece del delirante spreco di queste ricchezze lentamente accumulate per milioni di anni e che noi esauriremo in alcuni decenni. Contemplate la pienezza della campagna, la grandezza dei monti, la maestà dell’oceano e il mistero della foresta. Questo è fatto per voi, se sarete abitanti i quali ricevono tutto il necessario per essere felici, come lo stato l’uomo per millenni. Ma questa terra, dopo lo strappo, non è soltanto il giardino, bensì anche il luogo di drammi e catastrofi. Ecco l’opera che l’uomo deve realizzarvi: restituire la nostra sola patria a se stessa. Ponendovi l’uomo, Dio gli ha dato questo solo ordine: coltivare e custodire, questo è tutto ciò che dobbiamo fare. Coltivarla bene, in modo da non esaurirla, né renderla orrenda, né snaturarla; custodirla bene, al contempo contro se stessa, in modo da restituirle la sua perduta armonia, e contro noi stessi, in modo da trovare in essa il limite e la misura della nostra hybris! L’uomo misura di tutte le cose, certo. Ma anche la terra, nostro giardino, è la misura di ogni cosa, ossia delle azioni ragionevoli e consentite all’uomo. Avremmo dovuto vezzeggiarla, farne l’oggetto della nostra scelta e della nostra dilezione, per renderla più amena e più conforme allo spirito della sua creazione. Si trattava di armonia. Ma ecco, ancora una volta abbiamo preso una strada radicalmente sbagliata. Da mezzo millennio a questa parte, l’ingegno dell’uomo si è orientato verso la conquista, lo sfruttamento, la grandezza, mentre la sua vocazione era l’armonia. Abbiamo cominciato a distruggere per avere di più. Accumulare beni e distruggere tutto, perdendoli. Stiamo smembrando il giardino, e presto la nostra terra, se continueremo a divorarla così, non sarà altro che un mucchio di ossa senza vita. Le ultime tracce dell’Eden stanno sparendo. È un discorso ecologico? Temo piuttosto che sia un’elegia sulla morte della terra, e non era questa la nostra vocazione di uomini. Eravamo piuttosto chiamati, e lo intuiamo confusamente, a creare un’armonia, un equilibrio, una giusta ripartizione delle forze e dei mezzi, una equa divisione dell’abbondanza terrestre. Ma questa preoccupazione fu soffocata dalla potenza. Continua...

venerdì 26 ottobre 2007

VALTELLINA. VIVILA COME SEI

Questo è il messaggio pubblicitario che si incontra risalendo la Valtellina, pubblicità che è apparsa anche su riviste e che dovrebbe rappresentare, secondo i dettami del marketing turistico, un richiamo per turisti che ancora ignorano l’esistenza di una Valle al centro delle Alpi.
“Valtellina. Vivila come sei.”
Ora, lasciando per ultimo le considerazioni sull’immagine, il tipico torero delle Alpi Retiche e il paesaggio alle sue spalle che appare piuttosto dolomitico che valtellinese, viene da chiedersi cosa voglia comunicare la frase “vivila come sei”. Ero convinto che per conoscere e apprezzare una cultura diversa servisse un orizzonte più aperto alla manifestazione dell’alterità, che lasciarsi meravigliare dalla differenza fosse un modo esemplare di conoscenza. Mi viene in mente un’antica parola greca, thaumazein, che non significa semplicemente sguardo, ma indica la capacità di meravigliarsi di fronte a ciò che non ci appartiene e al medesimo tempo lasciare che ciò che ci è estraneo si manifesti in tutta la sua differenza. Esattamente il contrario di quanto ci comunica la frase della pubblicità: Valtellina. vivitela come siete, che voi siate cittadini di una metropoli o di un villaggio di pescatori, portate con voi il vostro modo di abitare, qui vi troverete a casa. Appunto, nessuna novità, nessuna fatica di adattamento, nessuna meraviglia, nessuna alterità. Mi chiedo perché mai una persona dovrebbe prendersi la briga di viaggiare fino a questa splendida Valle per fare esattamente le cose che farebbe tranquillamente nel proprio salotto. Per la natura? O per l’aria pura? (sempre che di aria pura si possa parlare quando migliaia di veicoli attraversano la Valle formando code chilometriche), non so, ma sono certo che nessuno opterebbe per un viaggio verso un luogo che si atteggia a villaggio turistico. Già, perché il senso della pubblicità è proprio questo, presentare la Valtellina come un immenso villaggio vacanze, esattamente simile a qualsiasi altro villaggio presente in Egitto o a Bali, che importa poi se i locali si chiamino valtellinesi e producano vini da qualche secolo o siano spagnoli e toreri di professione? Questo forse è il drammatico destino di molte località a cui l’antropologo francese Marc Augé faceva riferimento quando parlava della lenta trasformazione di luoghi in non-luoghi, ad essi contrapposti in quanto non-identitari, non-relazionali e non-storici, ossia spazi effimeri per eccellenza in cui la differenza è spazzata via da una costellazione di immagini e rappresentazioni di realtà comune a tutti gli utenti e che in questa pubblicità sembra trovare la sua forma compiuta.
Valtellina. Vivila come sei, perché noi residenti in Valle abbiamo smarrito la capacità di abitare e perciò non possiamo certo comunicare a voi la nostra cultura, e forse nemmeno il nostro paesaggio: la scelta nella pubblicità di uno sfondo più somigliante ad una valle del Trentino Alto Adige ne è la drammatica prova.
Continua...

lunedì 15 ottobre 2007

Quarto Seminario Internazionale


TERRA MATER


CARTA DI GUBBIO 2007



Nel venticinquesimo anniversario della formulazione della Carta di Gubbio 1982, i partecipanti al Quarto Seminario Internazionale Terra Mater (Gubbio 24-27 settembre 2007) ritengono necessario riproporre la concezione francescana della natura non solo ai credenti, ma a tutti gli uomini, per la sua straordinaria forza, in un momento in cui la situazione del pianeta appare più preoccupante che mai.
Negli ultimi anni, si sono moltiplicati gli appelli allarmati di esponenti della comunità scientifica, diretti in particolare alle autorità politiche. I cambiamenti necessari tardano tuttavia a mettersi in moto: la molla della paura non basta a superare la cultura del profitto fine a se stesso, né a scalfire la spinta consumistica che essa continuamente induce.
La progressiva riduzione delle riserve di petrolio e di gas rende sempre più difficoltoso l’approvvigionamento di energia, con la conseguenza di conflitti anche sanguinosi.
Le accademie scientifiche denunciano il fenomeno del cambiamento climatico, legato al ricorso massiccio ai combustibili fossili: l’aumento accelerato di concentrazione di anidride carbonica in atmosfera stravolge la stabilità degli equilibri e dei fenomeni periodici che determinano il clima.

Si deve dunque modificare in tempi rapidi la struttura del bilancio energetico, sapendo che non è oggi possibile, in sostituzione dei combustibili fossili, il ricorso all’energia nucleare, per i problemi tuttora irrisolti che questa presenta.
Al centro dell’emergenza, oltre ai problemi energetici e climatici, si collocano anche la perdita della biodiversità, la massiccia deforestazione, l’inquinamento, con gli effetti distruttivi sull’ambiente e il quadro doloroso delle malattie degenerative, il degrado dei centri urbani, il perdurante scandalo della povertà e della fame nel mondo, che costringe milioni di esseri umani all’emigrazione.
La ricorrenza dell’ottavo centenario dell’arrivo a Gubbio di S. Francesco - che qui assiste i lebbrosi nel momento culminante della sua conversione - suggerisce di cercare nella sua figura l’ispirazione per un cambiamento radicale di prospettiva.
L’insegnamento francescano, che si fonda sulla fratellanza con tutte le creature, viventi e non viventi, addita un modello di uomo nel quale, dopo otto secoli, credenti e non credenti possono ancora incontrarsi.
Lo stile di vita che ne consegue indica a tutti il “ben vivere” nel quadro di una cultura del limite, anziché lo sviluppo illimitato e il consumo senza misura.

A tal fine, Terra Mater ritiene indispensabile

che – avendo il progresso tecnologico accresciuto enormemente il potere di manipolazione della natura, divenuta perciò vulnerabile – s’imponga un’aggravata responsabilità umana in termini di difesa dei sistemi naturali e di ripristino dei loro equilibri, e si osservi un criterio di cautela che obbliga a non adottare innovazioni se non si abbia una ragionevole garanzia della loro sicurezza;


che alla presa di coscienza della sempre più grave crisi ambientale corrisponda una crescita della responsabilità individuale, sicché ciascuno non solo si astenga da comportamenti pregiudizievoli, ma eserciti una vigilanza critica e promuova una tutela attiva dell’ambiente, inteso come bene comune;
che si adottino, nel consumo di beni e risorse, pratiche di moderazione, non eccedenti la misura richiesta dai bisogni fondamentali: ciò implica la rinuncia a oggetti, ad abitudini e livelli di comfort non necessari, in una prospettiva di frugalità degli stili di vita;
che i governi, le istituzioni, i cittadini e le imprese perseguano, con determinazione e costanza, la sperimentazione e l’uso delle energie alternative, passando da fonti energetiche concentrate, come i combustibili fossili e l’energia nucleare, a fonti diffuse sul territorio e che queste – insieme con il risparmio energetico – siano al centro delle politiche pubbliche e delle abitudini private;
che il “consumo del mondo” cessi di costituire un elemento strutturale dell’essere umano nella civiltà industriale e tecnologica, e l’ambiente sia vissuto come il sistema delle realtà naturali e culturali di cui l’uomo fa parte originariamente e indissolubilmente;
che si individuino nuove sedi di decisione politica a livello planetario per superare i tradizionali rapporti diplomatici tra gli Stati e consentire ad una pluralità di soggetti e agenzie (organizzazioni non governative, associazioni imprenditoriali, ecc.) la partecipazione ai processi decisionali;
che si ridefiniscano profondamente le ragioni dei rapporti economici ineguali tra Paesi industrializzati e Paesi in via di sviluppo, con particolare riferimento alle politiche agricole e all’imposizione di monocolture, che impoveriscono la biodiversità e rendono i Paesi che le adottano maggiormente soggetti a crisi e conflitti;

che la donna, come nella visione francescana, sia riconosciuta nella sua dignità e nella pienezza dei suoi doni e valorizzata come portatrice di un’etica della cura, la quale, in quanto alternativa alla cultura del dominio, assume la natura e l’ambiente tra i propri oggetti privilegiati;
che si riconosca la dimensione culturale del rapporto tra uomo e natura nella forma del paesaggio, espressione e patrimonio di una comunità che, nella propria interpretazione dell’abitare, non tradisca le dimensioni storiche, identitarie e simboliche del luogo;
che si privilegi l’esperienza diretta dei luoghi e degli ambienti, da contemplare, attraversare, conoscere, per goderne e fruirne esteticamente;
che si attui una educazione ambientale permanente (che coinvolga scuole, istituzioni, associazioni, imprese, mezzi di comunicazione) nell’ottica della complessità, intesa come visione sistemica della realtà, sia nel suo aspetto scientifico ed ecologico, sia in quello etico e comportamentale, privilegiando esperienze dirette sul territorio;
che si assuma nei confronti degli animali un atteggiamento ispirato alla più avanzata sensibilità, si risparmino loro il più possibile maltrattamenti e sofferenze (in particolare, si valorizzino le metodologie alternative alla sperimentazione animale) e ci si adoperi per la salvaguardia delle specie a rischio d’estinzione; analogo atteggiamento di rispetto venga adottato nei confronti del mondo vegetale e minerale: S. Francesco ci insegna che un’etica che si occupa solo degli umani rischia di essere disumana. Il suo umanesimo, per la sua apertura cosmica, può definirsi ecologico.
A un quarto di secolo dalla “profetica” Carta di Gubbio 1982, Terra Mater indirizza di nuovo ogni uomo sul cammino di S. Francesco, alla riscoperta dei valori fondamentali dell’abitare la Terra.

TERRA MATER
Assisi Nature Council (A.N.C.)
Associazione Italiana per il World Wildlife Fund (W.W.F. Italia)
Associazione Nazionale Italia Nostra
Bureau Européen de l’Environnement (B.E.E.)
Centro Francescano Studi Ambientali
Club Alpino Italiano (C.A.I.)
Club di Roma
Comune di Gubbio
Comunità Montana “Alto Chiascio” Gubbio
Conferenza dei Ministri Generali delle Quattro Famiglie Francescane:
Ordine dei Frati Minori (OFM)
Ordine dei Frati Minori Cappuccini (OFMCap.)
Ordine dei Frati Minori Conventuali (OFMConv.)
Terzo Ordine Regolare di San Francesco (TOR)
Ente Nazionale Protezione Animali (E.N.P.A.)
Federazione Italiana Pronatura - Federnatura
International Union for Conservation of Nature and Natural Resources (I.U.C.N.)
Istituto Italiano di Bioetica
Legambiente
Lega Italiana Diritti dell’Animale (L.I.D.A.)
Lega Italiana Protezione Uccelli (L.I.P.U.)
Mountain Wilderness Italia
Planning Environmental and Ecological Institute
Provincia di Perugia
Regione Umbria
Società Italiana di Ecologia (S.IT.E.)
Society for International Development (S.I.D.)
World Futures Studies Federation
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mercoledì 29 agosto 2007



COMUNE DI BORMIO, 1 SETTEMBRE 2007




LUISA BONESIO (Università di Pavia) presenta il suo ultimo libro:




"PAESAGGIO, IDENTITÀ E COMUNITÀ TRA LOCALE E GLOBALE"





Autore : Prof.ssa Luisa Bonesio, Dipartimento di Filosofia dell’Università degli Studi di Pavia

Coordina: Ing. Enrico Cinalli, Assessore all’Urbanistica e Territorio, Energia e Ambiente del Comune di Bormio









Bormio, 1 settembre 2007 - ore 21.00
Sala conferenze Bormio Terme
Via Stelvio, 10

ingresso libero




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sabato 11 agosto 2007

Associazione culturale “Terraceleste”





L’Associazione non ha fini di lucro ed è apolitica. Suoi fini sono la promozione dei valori identitari, culturali, ambientali e paesaggistici del territorio sia come fattore di crescita delle comunità che come motivo di lungimirante valorizzazione turistica; la realizzazione di iniziative ed eventi volti all’educazione permanente dei cittadini, al dialogo interculturale, alla conoscenza e diffusione delle manifestazioni storiche e territoriale della memoria storica dei luoghi, fattori indispensabili di crescita civile, economica e culturale anche nel più ampio orizzonte dell’Europa e di fronte alle sollecitazioni provenienti da un mondo complesso, ma anche in quanto valori aggiunti di ogni marketing territoriale di fronte a sfide globali; la collaborazione con enti pubblici e privati, con istituzioni scientifiche, università, scuole in tema di educazione ai valori del paesaggio, dell’incremento della coscienza territoriale, della responsabilità verso il patrimonio culturale, fisico e immateriale e delle forme della sua valorizzazione.

Le finalità sociali sono:

− la promozione dei valori identitari, culturali, ambientali e paesaggistici del territorio sia come fattore di crescita delle comunità che come motivo di lungimirante valorizzazione turistica;
− la realizzazione di iniziative ed eventi volti all’educazione permanente dei cittadini, al dialogo interculturale, alla conoscenza e diffusione delle manifestazioni storiche e territoriale della memoria storica dei luoghi, fattori indispensabili di crescita civile, economica e culturale anche nel più ampio orizzonte dell’Europa e di fronte alle sollecitazioni provenienti da un mondo complesso, ma anche in quanto valori aggiunti di ogni marketing territoriale di fronte a sfide globali;
− la collaborazione con enti pubblici e privati, sia italiani che stranieri, con istituzioni scientifiche, università, scuole in tema di educazione ai valori del paesaggio, dell’incremento della coscienza territoriale, della responsabilità verso il patrimonio culturale, fisico e immateriale e delle forme della sua valorizzazione anche come realizzazione di culture conviviali e ospitali;
− l’elaborazione di indagini conoscitive, ricerche, progetti scientifici, azioni di divulgazione, di formazione ed educazione;
− l’ideazione e l’organizzazione di convegni, dibattiti, conferenze, mostre, eventi mediatici;
− la realizzazione di forme e strategie di comunicazione dei temi e dei valori contemplati nei fini dell’Associazione;
− la realizzazione di studi, ricerche, pubblicazioni (articoli, saggi, volumi, report di ricerca, collane editoriali, ipertesti e testi sul web) sui temi di lavoro dell’Associazione;
− l’offerta di forme di consulenza nell’ideazione, organizzazione e realizzazione di eventi culturali e iniziative a carattere formativo, di divulgazione o di aggiornamento.


Presidente Luisa Bonesio
Segretaria Laura Menatti
Tesoriere Davide Cinalli


Info e iscrizioni: cinod@tiscali.it http://www.geofilosofia.it/
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